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Coronavirus: in mezzo al dramma, voci di speranza (quinta parte)

E’ passato un po’di tempo, ma il tema è ancora di grande attualità. Riprendo, perciò, a parlarvi di coronavirus, ma anche di ripartenza, proponendovi altre interessanti testimonianze.

Roberta, docente di inglese in una scuola superiore di Napoli (sentita il 22 Giugno e 3 Luglio)
Come ha vissuto la cosiddetta fase 1?
È stato difficile. Restare chiusi in casa in un momento in cui arrivavano notizie tragiche da tutto il Paese non è stato semplice.

Cosa pensa delle misure e delle scelte prese adottate dal Governo nel corso di questi mesi, in particolare dal Ministro dell’Istruzione?
Sono state drastiche con ricadute economiche e sociali. Se guardiamo alla scuola, le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: i docenti si sono rimboccati le maniche e nel giro di pochi giorni hanno attuato strategie nuove, alternative, per non togliere ai ragazzi il loro diritto fondamentale allo studio. La didattica a distanza non può essere certo considerata una sostituzione completa della didattica in presenza. Sicuramente tutti gli sforzi e i sacrifici fatti hanno portato dei risultati e i ragazzi hanno potuto concludere un anno scolastico che passerà alla storia.

Qual è la prima cosa che ha fatto finito il lockdown?
Una passeggiata vicino al mare: dopo tre mesi chiusa in casa, era la cosa che desideravo maggiormente!

Ritiene che questa triste esperienza ci stia insegnando qualcosa? Cosa si porterà dentro?
L’esperienza del lockdown e della pandemia è stata un’esperienza completamente nuova e sicuramente traumatizzante. Non ha influito tanto la questione del restare chiusi in casa, quanto il fatto di sapere che il coronavirus, contro il quale stiamo ancora combattendo, non avesse argini e che stesse causando (e purtroppo causa ancora) la morte di moltissime persone. Quello che mi resterà di questa esperienza è la consapevolezza che ci possa essere qualcosa che ci rende, nel giro di un attimo, estremamente fragili e che può scompaginare la nostra esistenza.

È fiduciosa per il ritorno in classe a settembre? Quando e come dovrebbe avvenire secondo lei?
Sono al momento abbastanza fiduciosa: la situazione dell’epidemia sembra essere sotto controllo e con le dovute accortezze igienico-sanitarie dovrebbe essere possibile tornare in aula. C’è da dire che, purtroppo, le nostre scuole non sono strutturalmente adatte al distanziamento sociale. Le classi sono spesso troppo piccole per contenere scolaresche numerose che possono raggiungere o superare i 30 studenti. Questo sarà un problema al quale dovremmo porre rimedio con una particolare attenzione all’uso delle mascherine, del gel, dei guanti da parte di docenti, studenti, collaboratori scolastici.
Venerdì 26 Giugno il ministro Azzolina ha dato finalmente le linee guida per il rientro a settembre, ma di fatto, rimette ai Dirigenti Scolastici ogni decisione, data la piena autonomia della scuola italiana. Questo non potrà che creare discrepanze tra i vari istituti di ogni ordine e grado, discrepanze dovute a tanti fattori, in primo luogo agli spazi a disposizione (e no, non credo ci voglia un software per capire quanti metri quadrati ci siano in un’aula!). Il ministro vuole un rientro a settembre con gli alunni in presenza, ma continuano a esser assemblate classi di 30 persone! Sembra un controsenso… Ed ogni giorno saltano fuori nuove idee e proposte, l’ultima, ad esempio, propone l’ingresso alle 7:00. Non ritengo fattibile una prima ora alle sette del mattino: personale ed alunni già si svegliano presto (o prestissimo, a seconda del luogo di residenza) e iniziare tanto presto potrebbe essere controproducente, in termini di stanchezza, attenzione e resa, sia dei docenti che dei discenti.

Come ha organizzato le vacanze?
Per ora non ho ancora piani per le vacanze, l’idea di massima è restare in Italia e scegliere una località di mare.

Daniela Zuncheddu, titolare della pizzeria “A modo nostro” a Fluminimaggiore, provincia del Sud Sardegna (intervistata il 12 Luglio.)
Come ha vissuto la cosiddetta fase 1?
E’ stato un periodo difficile, come penso per tutti gli italiani e, più in generale, per gli abitanti di tutto il mondo. Per quanto riguarda me e la mia famiglia, abbiamo vissuto il lockdown serenamente e ci siamo goduti l’atmosfera e l’armonia familiare, riscoprendo il cucinare in casa. Devo ricordare che siamo state una delle poche, e fortunate, categorie di lavoro che hanno potuto continuare a lavorare con le consegne domiciliari. Ovviamente le richieste sono state inferiori, però ci hanno dato la possibilità di pagare tutte le spese che un’attività comporta, come affitto, luce, fornitori… Non ci dobbiamo lamentare, soprattutto se penso al nord con tanti amici che hanno perso i loro cari… provo un’infinita tristezza. Eravamo preoccupatissimi, lo dico a cuore aperto.

Cosa ne pensa delle misure prese dal Governo e da Regione Sardegna, in particolare le più recenti, quelle relative alla ripartenza?
Non credo che il Premier e i ministri maggiormente coinvolti abbiano sbagliato in qualcosa, le restrizioni sono state necessarie. Dovevano imporre regole ferree e credo che gli italiani le abbiano rispettate. Anche il mio piccolo paese era deserto, vuoto. Il governatore Solinas è stato troppo protettivo, perché, quando si ricominciò a parlare di aperture e spostamenti fra le regioni, avrebbe preteso da chi arrivava da fuori una tessera, il tampone… ma ha dovuto fare passo indietro, perché erano misure difficili da rispettare. Ora so che i turisti devono fare solo una dichiarazione, addirittura non viene nemmeno misurata la temperatura, insomma si è passati da un estremo all’altro. Io uso la mascherina con 35 gradi, senza considerare il fatto che lavoro al caldo del forno, però la utilizzo sempre. Siccome il mio locale gode di un plateatico, i miei clienti, proprio perché all’aperto, non sono tenuti ad indossarla, ma io continuo ad usarla, anche perché spesso non so da dove arrivino. Siamo, inoltre, tenuti a conservare la registrazione dei clienti per 14 giorni, perché così si può risalire alle persone interessate nel momento in cui dovesse esserci un focolaio.

Come vede il futuro della ristorazione, almeno per quanto riguarda i prossimi mesi? Di quale tipo di turismo sentirà la mancanza? E’ stato complicato adeguare la sua pizzeria alle norme?
Lo vedo male, ma è normale perché manca il turismo estero, come per esempio francesi, olandesi e in parte anche quello italiano; il mio locale vede la presenza di ospiti che si muovono dal centro della Sardegna, romani, toscani, persone della Lombardia. Abbiamo una certa preoccupazione, perché dobbiamo affrontare pagamenti e, se non si lavora in questi tre mesi, mettere da parte il denaro necessario è dura. Speriamo bene, ma sono consapevole che se uno non ha lavorato per mesi, come si può permettere di andare in vacanza?
Per quanto concerne l’adeguamento alle norme, per rispettare la distanza tra un tavolo e l’altro, se all’aperto, sulla piazza, avevo a disposizione cinquanta posti, ora posso apparecchiare solo per venticinque-trenta persone. Questo non lo trovo giusto, perché vedo che nei bar le persone sono tutte vicine e senza mascherina. Nel pieno rispetto delle norme, io distanzio le persone al tavolo, a meno che non siano congiunti, poi magari vanno via da me e si ritrovano a bere e mangiare insieme, tutto come nel passato…Tutto questo comporta minori introiti giornalieri, e provo un senso di ingiustizia.

Ritiene che questa triste esperienza ci stia insegnando qualcosa? Cosa si porterà dentro?
Ci può insegnare tanto, ad esempio, a non dare mai niente per scontato, anche se in realtà io non l’ho mai fatto nella vita. Ci insegna anche a vivere quotidianamente con amici e parenti, a esser cordiali ed aiutare le persone che hanno necessità, a fare fronte unico… Spero che l’abbia fatto capire a quelle persone che prima vivevano solo per se stesse, all’insegna dell’egoismo.
Di questa esperienza, mi porto dentro tanta tristezza, perché sono morte troppe persone e questo non si può dimenticare, ce lo porteremo dentro fino all’ultimo dei nostri giorni, ben di più del lavoro che tanti hanno perso. E’ stato un dramma infinito; in quei giorni andavo a letto con il pensiero del pericolo grave che incombeva in Italia, perché ho tanti amici al Nord, essendo nata a Genova.

Come sta organizzando le sue vacanze? Ha dovuto rinunciare a qualcosa?
Neanche nel periodo più buio ho dovuto rinunciare a qualcosa perché un piatto in tavola l’ho sempre avuto. Sono sempre riuscita a pagare tutte le spese.
In questo momento non penso alle mie vacanze, anzi penso ai vacanzieri che possono arrivare. Il mio è un lavoro bello, perché si è a contatto con tante persone, ma allo stesso tempo faticoso e impegnativo. Quando è alta stagione, non c’è tempo per pensare ad altro. Però diciamo che verso ottobre – novembre mi piacerebbe fare un giro con la famiglia in Toscana e in Sicilia. E poi spero, per l’anno prossimo, di rivedere dal vivo Federer, perché questo vorrà dire che ci siamo lasciati alle spalle questa tristissima esperienza. Per cui, se tornerà a Roma o Madrid, ci farò un pensierino.

Eleonora Busi, giornalista a Cremona 1 tv (interpellata il 14 Luglio)

Come è stato lavorare nel periodo più brutto? Si è rivelato difficile mantenere la giusta dose di distacco da ciò che succedeva? E quale l’atmosfera adesso che si sta cercando di tornare piano piano alla normalità?
È stato molto difficile. In certi momenti tragici, ti trovi a domandarti se quello che stai facendo è giusto, e nascono una serie di domande senza una risposta certa e di emozioni che ti scuotono.
Da una parte per fare il tuo lavoro spesso devi andare sul campo, e in questo caso, trattandosi di una pandemia, la paura di essere contagiati, o peggio ancora di essere un veicolo del contagio, ti fa dubitare di ciò che stai facendo. Però senti anche forte il dovere di informare, di spiegare cosa sta succedendo. Dopo due settimane di dati in crescita, di genitori di amici in terapia intensiva e poi di amici attaccati al respiratore… mantenere un giusto distacco non è semplice, anzi, è davvero difficile, ma è il tuo lavoro e lo devi fare. E così cerchi di farlo al meglio, verificando la fonte con maggiore attenzione rispetto al solito, ricontrollando i calcoli più e più volte per non dare un dato sbagliato e raccontando storie che insegnino qualcosa alla gente, senza lucrare sul dolore altrui.
Io temo un po’ questa normalità, non vorrei che si trasformasse presto in superficialità. Spero che le persone rispettino le semplici regole che ci sono state date, e anche se il governo allenterà la presa, sono del parere che sarà sempre meglio agire con prudenza per non pentirsene in seguito.

Cosa cercava la gente dal mondo della informazione e cosa cerca ora?
Più notizie possibili sul coronavirus e per questo a Cremona 1 abbiamo portato a cinque le edizioni dei telegiornali, scelta che si è rivelata corretta, perché tutte hanno avuto un largo seguito. I cremonesi ci seguivano con attenzione, insieme ovviamente ai tg nazionali e ai talk sull’argomento.
Oggi con il calo dei contagi anche l’attenzione è venuta meno, diciamo che lo spettatore è saturo, si tiene informato sul tema, ma l’interesse si è spostato.

Cosa ha significato per lei realizzare il programma “Quelli di sempre, voci e volti di un nuovo inizio “, andato in onda il mercoledì sera per sei settimane, dal 6 maggio al 10 giugno?
È stata un’esperienza molto formativa. Raccontare quelle storie ci ha permesso di affrontare l’argomento in modo diverso, dalla parte di chi il virus l’ha, per un motivo o per l’altro, vissuto sulla sua pelle. È stata una sfida che, con il collega Giovanni Rossi, ho affrontato con entusiasmo ed empatia. Personalmente, mi ha anche permesso di confrontarmi con un tema d’attualità, cosa che in tv non avevo ancora fatto con un programma mio. Devo dire che mi ha stimolato molto, senza dimenticare il legame emotivo che stringi con le persone che accettano di raccontare la loro storia… è qualcosa che ti lascia un segno indelebile.

Cosa pensa delle misure adottate dal Governo e da Regione Lombardia?
Credo che siano state giuste, severe e difficili, ma giuste. Se guardiamo oggi ai Paesi che hanno applicato misure più morbide, possiamo ritenerci soddisfatti degli sforzi fatti.
Certo ora il Governo deve aiutare a ripartire in fretta, snellendo la burocrazia e agevolando chi ha maggiormente subito danni in questa situazione.

Ritiene che questa triste esperienza ci stia insegnando qualcosa? Cosa si porterà dentro?
Credo che questa esperienza ci abbia insegnato molto, quello che però mi auguro è che questo insegnamento duri nel tempo, anche se temo che non sarà così. Vedo la differenza tra chi è stato veramente toccato dalla sofferenza di questa situazione, rispetto a chi non ha visto con i propri occhi cosa è accaduto.
Quello che mi voglio portare dentro però è la forza che ha dimostrato il popolo italiano: sui balconi ha gridato che saremmo stati più forti del virus e così è stato; ci siamo virtualmente uniti per vincere questa battaglia e dovremmo ricordarci ogni giorno di cosa siamo capaci.

Come immagina le sue vacanze quest’anno?
Relativamente vicino a casa: solitamente io e il mio compagno facciamo vacanze molto impegnative, ci spingiamo nel sud est asiatico, in America o esploriamo qualche isola sperduta… Quest’anno non sarà possibile, ma può essere l’occasione per scoprire le bellezze della nostra Italia a cui riserviamo solitamente qualche weekend.

Ancora una volta mi riservo solo lo spazio necessario per un ringraziamento, non certo formale, a Roberta, Daniela ed Eleonora per il tempo che mi hanno dedicato. A chi legge, l’invito a non dimenticare da cosa veniamo e a guardare avanti con speranza e un po’ di altruismo.